lunedì 2 aprile 2012

La profezia auto avverantesi


Il pregiudizio consuma l’anima. Un po’ come l’invidia. Non c’è soluzione, è uno stato di natura che non può essere sradicato. Ce l’hai dentro. Può essere nel DNA. Può dipendere dall’imprinting, dal contesto sociale, dal sistema educativo. Un eterno confronto con ciò che non si possiede e che si vorrebbe possedere. Un eterno giudizio nei confronti di qualcuno o di qualcosa. Qualcosa che sembra ma non è. La via più semplice è quella del giudicare. La via meno tortuosa è quella del fermarsi in superficie.

In prima elementare ero una bambina giudicata molto intelligente ma con un forte handicap sociale. Non ero una bambina comune e avevo difficoltà a legare con gli altri compagni. Avevo due sole amichette. Prima Isabella e poi Elena. Mi annoiavo e avevo sempre mal di testa. La mia vicina di casa, Emanuela di due anni più grande di me, mi aveva insegnato a leggere e scrivere a tre anni. La mia mente, all’epoca, assorbiva qualsiasi informazione. E mia mamma mi sorprendeva a fare riassunti scritti del “Topolino”. A tre anni.

In seconda elementare il mio cervello spugnoso è tornato alla normalità fino a regredire. Anno per anno. Il solleone estivo mi aveva bruciato i neuroni oltre che la pelle. E il surriscaldamento del pianeta, il buco dell’ozono e l’effetto serra hanno peggiorato la situazione. Ma il mio “animale sociale” ne ha tratto giovamento. Ero una bambina come tutti gli altri. Sono una bambina grande come tutti gli altri bambini grandi.

Al liceo ero una ragazzina giudicata molto stupida ma carina. Una di quelle ochette bionde tinte e senza cervello. Lo confesso, avevo fatto il “Cristal Soleil” e usavo la camomilla sui capelli. E la mia personalità era in formazione. Stavo iniziando a sviluppare consapevolezza che, ahimè, è arrivata molto presto. La leopardiana età delle illusioni per me è durata poco. Troppo poco. Ed è stato allora che ho capito immediatamente che mi conveniva far credere agli altri quello che volevano credere. Era più semplice. Inutile perdere tempo a dimostrare al mondo il contrario. Non ne valeva la pena.

Poi ci sono stati gli anni dell’università, la pallavolo, la discoteca fino alle 5 del mattino, gli amici, le bevute, le feste, le primavere, le estati, gli autunni e gli inverni. Ero diventata un perfetto animale sociale e la mia intelligenza era un lontanissimo ricordo, un guizzo estemporaneo di una treenne vivace. Era finita, probabilmente, nelle scarpe super cool che compravo. Dormire tre ore a notte era la norma. Si viveva a mille. Non esistevano responsabilità, decisioni da prendere, strade intricate, problemi. Bastava solo divertirsi. L’autoaffermazione non era fondamentale. Vagavi. In una dimensione eterea. Come in un limbo sospeso tra terra e cielo.

Quel limbo però, non era una condizione reale. Non c’erano poeti vissuti prima dell’anno zero. Non c’erano bambini non battezzati. Caron dimonio, con occhi di bragia, ti aveva già traghettato sull’altra riva del fiume Acheronte. E il limbo non era la tua eterna dimora.

Il confronto con la vita adulta non è stato difficile. Ci sono scivolata dentro preparata. La bronzea corazza era solida. Le armi anche. Una sera, a casa di alcuni amici in cui c’erano altri amici, si parlava di cinema. Era appena uscito nelle sale il Kolossal americano “Troy” di cui ricordo una romanzesca trasposizione dell’Iliade di omerica impronta e un Brad Pitt da svenimento. E proprio sul personaggio che interpretava Brad Pitt ci si è soffermati. Avrei preferito di gran lunga disquisire sull’ileo-psoas Pittiano che si intravede nella scena dell’amplesso tra Achille e Briseide. Invece no, la conversazione era più aulica, il tema scelto era la discendenza di Achille. Di chi era figlio? Non ho saputo trattenermi, mi è proprio sfuggito dalle labbra nonostante il mio training quotidiano sul low profile. Ho risposto d’istinto: Teti e Peleo! Mi sono subito resa conto che qualcosa stonava. Ho abbassato gli occhi, rossa in volto. La padrona di casa mi ha guardata come fossi un marziano, “E tu come lo sai? Hai visto il film ieri sera?”. Ho fatto un gran sorriso e mi sono rilassata. Il mio segreto era al sicuro, nonostante tutto, non mi ero svelata. “Certo, ho visto il film proprio ieri”.

La padrona di casa aveva un pregiudizio. Per lei ero solo una pallavolista ignorante che aveva vinto alla lotteria sposando un avvocato. E che si trovava per puro caso nella sua lussuosa dimora con tanto di servitù. La Brooke Logan della vallata. La cameriera arrampicatrice che aveva accalappiato Ridge Forrester, il rampollo della Forrester Creations. E la Brooke Logan della vallata, senza fare una piega, le ha lasciato credere che fosse veramente così.

Veniamo al titolo del post. La profezia auto avverantesi. Quando un pregiudizio è talmente radicato è impossibile eliminarlo. Spesso ci si concede l’opportunità di cambiare idea disattendendo l’impressione iniziale. Credendo di poter andare oltre il contenitore. Ma non è mai così. E la risposta è sempre la stessa: “visto, lo sapevo da subito, si è solo rilevato essere ciò che già pensavo da tempo, ho dato un’altra possibilità ma la prima impressione è quella che conta!”. E la profezia, magicamente, si è avverata.

2 commenti:

  1. Ciao Ale. Che bello leggerti!
    Probabilmente ci siamo conosciuti in quella fase della vita che va dalla 29esima alla 37esima riga di questa splendida narrazione. Curioso vedere come, con lo "spunto" della profezia autoavverantesi, hai raccontato in maniera così diretta ma divertita il tuo percorso.
    E' stato come ritrovare un libro che una volta avevi preso per mano, con tutte le buone volontà, tra cui la più importante è ovviamente quello di terminarlo, senza riuscirvi.
    Adesso questo libro è stato ripreso in mano dall'autore che, per usare una bella frase di Carol Woytila, ne sta facendo "un autentico e inimitabile capolavoro"
    Un caro abbraccio

    VB

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    1. Vitto caro, che bello che tu mi abbia non solo letto, ma anche scritto!!! La fase della vita che va dalla 29esima alla 37esima riga è stata una delle più belle e che ricordo con infinita leggerezza e gioia.Ti mando un abbraccio forte anch'io e spero tu stia bene. Ale

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