mercoledì 30 ottobre 2013

Il cavallo di Troia


Oh no. Ci risiamo. Galeotto sembrava proprio un’eccezione. Ben motivata tra l’altro. E ben inframmezzata dal solito trash. E allora che è sto titolo? Un indottrinamento sulla guerra di Troia? La storiella la sanno tutti, Troia è una città, non una parolaccia. Anche se, in fondo, potrebbe pure essere una parolaccia perché il mito racconta che Elena, la donna più bella del mondo, maritata a Menelao, Re di Sparta, si prese una sbandata pazzesca per il bel Paride, secondogenito di Priamo, Re di Troia, e se ne scappò con lui scatenando la guerra. Ovviamente so tutto ciò per aver visto Troy dove il bel Paride aveva lo splendido volto di quella disfunzione ormonale umana di Orlando Bloom. E cerco di non pensare ad Achille/Brad Pitt se no perdo definitivamente il filo del discorso. Ecco.

Il filo del discorso è il cavallo. Quello di Troia. Che non era il cavallo con cui Elena scappò per andare da Paride, cioè, non era il suo cavallo. Ma un ingegnosissimo stratagemma messo a punto da un certo signor Ulisse che finse di rinunciare alla guerra di Troia omaggiando Re Priamo con un cavallo di legno come segno di pace. Peccato che il cavallo contenesse i guerrieri greci più valorosi che, una volta penetrati all’interno delle mura, fecero secchi i poveri e ignari troiani.

Ma tutto questo già si sa. Tornando a Galeotto, quello che sembrava proprio un’eccezione, torno anche al mio amato Dante e a un altro dei canti più celebri del suo Inferno, il XXVI. Tutti conoscono il canto di Ulisse. Persino la nuova Miss Italia, eletta l’altra sera su La7, ha un tatuaggio sopra la tetta sinistra che riporta i versi 119 e 120 del XXVI canto dell’Inferno:

“fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”

Non voglio fare la purista o la snob. Né toglier nulla alla bella Giulia, la nuova Miss Italia, che ha dichiarato di aver scelto di tatuarsi quei versi perché si sente figlia di Dante. Ma giuro, tutte le volte che sento citare la Divina Commedia alla carlona o per sfoggio di erudizione mi viene un urto di vomito. Come quando il dentista usa lo specchietto per tenere ferma la lingua.

Supponiamo che la maggior parte di coloro che leggeranno conosca, pressappoco, “lo maggior corno de la fiamma antica”. Lo do per scontato. Alla domanda del perché Ulisse, “lo maggior corno della fiamma antica”, sia punito insieme a Diomede nella bolgia dei consiglieri di frode, chiunque risponderebbe serenamente e con assoluta certezza: “per aver detto ai suoi uomini “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”, incitandoli a compiere il “folle volo”, oltrepassando le Colonne D’Ercole, limite del mondo esplorabile. Risposta sbagliata.

Il peccato per cui Ulisse è eternamente punito nell’Inferno è proprio il cavallo di Troia. Insieme al furto del Palladio e alle armi di Achille. Nell’ottava bolgia sono dannati coloro che, nella vita, hanno fatto un cattivo uso dell’ingegno. Coloro che hanno adoperato per conseguire con frode il trionfo. Viene punita l’astuzia, l’abuso di intelligenza, la malizia politica. Il cavallo di Troia ne è l’emblema. Poi c’è il furto del Palladio, statua di Atena protettrice della citta di Troia, peccato di cui Ulisse si macchiò insieme allo minor corno de la fiamma, Diomede. E sempre con Diomede, Ulisse portò via per sempre Achille alla povera Deidamia con l’inganno delle Armi. Deidamia, figlia del Re di Sciro Licomede, innamoratasi perdutamente del valoroso Achille, lo aveva travestito da donna e nascosto in mezzo alla corte per sottrarlo alla guerra. Ma i dispettosi Ulisse e Diomede si presentarono a Sciro fingendosi mercanti e mostrando ad Achille alcune armi, risvegliandone lo spirito guerriero che indusse Achille a seguirli abbandonando la straziata Deidamia.

Bene, ricordo a tutti a voi che Achille in Troy era Brad Pitt. Mi si è risvegliato lo spirito guerriero. Grazie Ulisse. Grazie Diomede. Se fosse rimasto insieme alla straziata Deidamia non avremmo potuto sognare per giorni e giorni i bicipiti pompati di Brad.


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